Il quartiere dei miracoli

Un appunto sbiadito sul retro di una fotografia in bianco e nero. Poche parole e una data, un promemoria, come si faceva una volta, per non dimenticare le persone o l’occasione immortalata dalla macchina fotografica. Gli album di tutte le case ne sono pieni, al punto che a volte, nonostante la premura di scrivere nomi e numeri, ci si dimentica come mai proprio quella fotografia ai nostri genitori o ai nostri nonni era sembrata tanto importante. In questo caso è sufficiente una rapida occhiata e subito capiamo il motivo per cui è stata scattata, anche se a fare “click” non è stato un parente e non l’abbiamo trovata tra le pagine di un libro nella nostra libreria. È l’immagine che attesta, meglio di tanti statuti registrati su carta bollata, l’inizio di una storia lunga mezzo secolo.

Le parole sono Tetti, Francesi, Esedra. I numeri sono 0 e 0. La data è il 1971. Più che un appunto è un tabellino, molto sintetico, ma pur sempre la testimonianza che in un giorno di inizio Anni Settanta due squadre hanno disputato un incontro su un campo di gioco. E, alla fine, infangati e doloranti, i giocatori se ne sono andati senza vincitori né vinti.

Per sapere di quale sport stiamo parlando basta osservare l’istante impresso sulla pellicola dallo scatto dell’otturatore. Dodici ragazzi, anzi qualcuno in più, in maglietta chiara e calzoncini bianchi, calzettoni al ginocchio e, tra le mani di un ragazzo accosciato nella prima fila, un pallone. Visto così, piuttosto pesante, certamente di cuoio, come si usavano cinquant’anni fa.

Non ci sono dubbi, è la fotografia di rito che precede una partita di calcio, quella tra il Tetti Francesi e l’Esedra. Nessuno di quei ragazzi poteva ancora saperlo, ma la loro è stata la prima partita ufficiale tra due delle più longeve squadre di calcio di Torino.

Nel ’71 l’Esedra esisteva già da un decennio, nato nel 1960 come espressione sportiva della parrocchia torinese di Gesù Nazzareno. Ideato da un gruppo di amici guidati da Alessandro Piccione, il Gruppo Sportivo Esedra fu subito capace di raccogliere e di aggregare i tanti ragazzi che gravitavano intorno a piazza Benefica.

Erano quelli gli anni della crescita economica e dell’espansione demografica della Torino del Dopoguerra, una crescita fatta di immigrazione dalle campagne piemontesi e dal sud Italia, con i quartieri che si popolavano come mai prima. A fare le spese del boom demografico furono proprio i più giovani, che la città era impreparata ad accogliere. All’infuori dalla scuola esisteva ben poco e gli oratori divennero luoghi di raccolta e aggregazione. Facile capire perché, specie in città, i primi esperimenti sportivi nacquero spontanei intorno alle parrocchie e su campetti improvvisati, spesso in terra battuta e sassi, uguali a quello che fa da sfondo alla prima foto ufficiale del Tetti Francesi.

Non è un caso, dunque, che proprio la prima uscita ufficiale e documentata della squadra di calcio di Tetti Francesi sia stata in occasione di una gara contro l’Esedra. Le due società nascevano in contesti simili e con le stesse premesse: offrire ai più giovani un progetto nel quale identificarsi, facendo dello sport un valido motivo di aggregazione e un modo per condividere e diffondere i valori della comunità. In quegli anni per gli adolescenti di Tetti non esistevano tante distrazioni e occasioni di svago: i Boy Scout per i ragazzi e le attività organizzate dalle suore del centro Laura Vicuña per le ragazze. Più che normale, dunque, che i luoghi di incontro e socializzazione fossero la piazza davanti alle vecchie scuole elementari, la chiesa e un campetto incolto e abbandonato.

La storia del Tetti Francesi inizia qualche mese prima di quella fotografia e qualche chilometro più in là dal luogo dove oggi sorge il “Valentino Mazzola”, l’impianto sportivo sede sociale e campo di casa della squadra. Tutto ha inizio nel vicino comune di Orbassano, sul finire dell’estate del 1970. Orbassano è talmente vicino a Tetti Francesi che è sufficiente attraversare la strada statale per arrivarci. Sono solo un paio i chilometri che separano il quartiere di Rivalta dall’oratorio di Casa Papa Giovanni XXIII, dove una società di calcio stava creando in quei mesi un settore giovanile.

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